Stefani: “Cerco il dialogo, basta rabbia inutile. La Lega non è Vannacci”

Alberto Stefani ha 32 anni e i modi di un ragazzo dell’Azione cattolica. Lo guardi e pensi sia capitato nella Lega per caso: laurea in diritto canonico, nonno comunista, ama l’arte, dipinge. È un fedelissimo di Matteo Salvini, che si è battuto dentro la Lega e con Fratelli d’Italia per la sua investitura, ma rappresenta politicamente il suo opposto. Da quando è stato scelto come candidato alla presidenza della Regione, va in giro per il Veneto professando il valore della gentilezza e dicendo cose come: «Credo nel confronto leale fra idee, rifiuto lo scontro personale. In politica non cerco nemici da abbattere, ma avversari con cui dialogare».
Ad ascoltarlo, non si capisce cosa abbia a che fare con la Lega di Roberto Vannacci o Silvia Sardone. Somiglia più a Luca Zaia, che però non voleva prendesse il suo posto. Stefani è cauto, abile a giocare sull’equivoco. Se c’è una Lega che si oppone all’ascesa di Roberto Vannacci, cercando di non fare troppo rumore, è qui che va cercata: nella regione bianca in cui è nata la Liga, tra le sue campagne e le sue imprese.
Ha presentato un “pentalogo” di comportamenti ai candidati che sembra un manuale di galateo istituzionale. Niente provocazioni, niente attacchi, dialogo con tutti. Come mai?
«Come ho detto nel discorso di lancio della campagna ritengo fondamentale non attaccare i miei avversari. Dobbiamo parlare del Veneto, essere in grado di ascoltare, non farci prendere da polemiche sterili dentro o fuori la coalizione».
Il candidato del centrosinistra in Puglia Decaro ha fatto di tutto per non avere in lista il suo predecessore Michele Emiliano, lei non ha problemi con Zaia capolista in tutte le circoscrizioni? Non rischia di farle ombra?
«Ne sono orgoglioso. Sono in questa squadra da quando ero bambino e so che un ricambio generazionale si fa con l’impegno di tutti. Zaia ha portato in alto lo standing del Veneto in questi anni ed è garanzia di continuità».
Ma la Lega in Veneto si è molto indebolita, mentre è cresciuta la forza elettorale di Fratelli d’Italia. Lei sa che – dietro le quinte – dicono che sarà un presidente commissariato dagli assessori meloniani?
«Guardi, io so che c’è una sana competizione, una normale e leale concorrenza tra partiti, ma che insieme lavoreremo tutti per il miglior risultato possibile».
Ha detto che, se sarà eletto, si sentirà il presidente di tutti, un atteggiamento che non va molto di moda a destra. Ci crede davvero?
«Certo. I temi del nostro programma non hanno a che fare con questioni ideologiche. Girano intorno a sanità, sociale, imprese e ambiente, cose che interessano tutti. Dobbiamo migliorare quello che si può senza fare una campagna livorosa di insulti e offese. E vedo che questo tono diverso è molto apprezzato, gli elettori preferiscono il pragmatismo alla rabbia inutile che allontana le persone».
La Lega è però cresciuta coltivando la rabbia delle persone, prima nei confronti di “Roma ladrona”, poi degli immigrati, o dell’Europa matrigna. Quando parla di ambiente al centro, è consapevole che il suo partito è contrario agli obiettivi europei del Green Deal?
«Certo, nella nostra scuola di formazione abbiamo lanciato un’iniziativa chiamata Green real: serve un ambientalismo che faccia gli interessi dei cittadini, delle famiglie e delle imprese e questo non si concilia con la direttiva casa europea o con lo stop ai motori endotermici che ha comportato l’apertura al mercato cinese. Non credo siano state fatte le mosse giuste a livello europeo».
E quali sarebbero le mosse giuste?
«Aumentare i punteggi agli enti pubblici che fanno rigenerazione e rinaturalizzazione, così come alle imprese che investono nell’economia circolare. Le aziende venete sono le prime a investire in tecnologie sostenibili, Treviso è stata premiata come città più verde d’Europa, e noi incentiveremo la mobilità sostenibile, lo stiamo già facendo con il biglietto unico intermodale per i giovani».
I dazi di Trump fanno paura?
«I nostri imprenditori sono più preoccupati dall’estrema burocratizzazione delle regole europee».
Roberto Vannacci è un valore aggiunto o un problema per la Lega? Lei ha quattro candidati che si sono iscritti alla sua associazione.
«Chi è in lista deve rappresentare i veneti, non una corrente all’interno del partito».
A Pontida è stato il più osannato.
«A Pontida la metà dei presenti erano veneti. La nostra è l’unica bandiera in cui è scritta la parola pace, non credo che questi discorsi sulla presunta vannaccizzazione della Lega abbiano alcun fondamento».
Suo nonno Aldo, operaio alla Breda, era orgogliosamente comunista.
«E io ho sempre detto e posso ripetere che con il fascismo non ho niente a che fare, come tutti i militanti della Lega».
Il progetto a cui tiene di più?
«Un piano casa per le giovani coppie, investire sui servizi educativi, un piano contro il disagio giovanile che parta dallo psicologo di base e lo porti nelle scuole, la valorizzazione degli istituti tecnici e professionali collegati alle imprese. Non tutti devono fare il liceo».
Lei lo ha fatto però. Ed è anche una questione di salari.
«Deve essere fatto un lavoro di incentivi, il mercato saprà dare le giuste risposte».
L’immigrazione secondo Stefani?
«Il problema non riguarda quella regolare, sono anni di accoglienza indiscriminata che hanno non solo pregiudicato le comunità ospitanti, ma anche i diritti degli stessi richiedenti asilo, ammassati come pacchi della spesa in centri di accoglienza straordinari in cui sono stati calpestati i diritti umani».
I grandi centri li ha sempre voluti la destra.
«Bisogna integrare chi viene qui per rispettare le leggi e lavorare, costruire le condizioni perché accada, altrimenti ti ritrovi una bomba sociale che non riesci a gestire».
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